Caro Conte, se vuoi fare un regalo alle famiglie dei caduti per il crollo del Ponte Morandi, se vuoi dare un chiaro segnale agli italiani di un cambiamento vero e rivoluzionario e soprattutto se vuoi dimostrare all’Europa che il patriottismo esiste ancora, allora per l’anniversario del crollo del Ponte Morandi, il prossimo 14 Agosto, regalaci la nazionalizzazione. Restituisci ai cittadini ciò che gli è stato tolto.
Non di strappo traumatico si è trattato, ma di furto con destrezza.
La dismissione dell’immenso patrimonio pubblico delle imprese nazionali ha inizio al principio degli anni ’90, sostenuta dal falso mito della maggiore efficienza della gestione dei privati, rispetto allo Stato burocrate, spendaccione e dispensatore di guadagni facili e posti di lavoro.
Nel giro di pochi anni, dal 1992 al 2002, decennio d’oro per l’attuale pensiero dominante neoliberista, l’Italia decide di privarsi della quasi totalità delle imprese di Stato: dal settore bancario e assicurativo a quello dei trasporti; da quello energetico, alimentare e chimico, a quello meccanico e siderurgico. In soli dieci anni, la presenza dello Stato in economia viene non solo smantellata, ma annoverata tra le bestemmie e le peggiori infamie mia capitate. Fu così che il fior fiore dell’impresa nazionale, in molti casi ad alto tasso di redditività come l’ENI, l’ENEL, la Telecom o le maggiori banche pubbliche, viene in poche parole regalato a investitori italiani o stranieri, mandando in fumo in pochi anni un patrimonio pubblico costruito in decenni di storia e soprattutto di sacrifici fatti al popolo italiano e dal sudore della loro fronte.
La società Autostrade, rigorosamente di Stato, nasce nel 1950. La stragrande maggioranza dell’attuale estensione della rete, viene costruita negli anni ’60 e ’70 dallo Stato il quale, a fine degli anni ’90, gestisce circa metà delle autostrade italiane. Quando nel 1999 Autostrade viene privatizzata, l’Anas le aveva appena rinnovato la concessione per la gestione dei servizi autostradali fino al 2038. In poche parole chi è subentrato, ha comprato una concessione fresca fresca di 39 anni. La famiglia Benetton si accaparra subito il 30% del capitale e ben presto, nel giro di pochi anni, acquisisce la restante fetta della torta, grazie ad abili manovre speculatorie sul mercato finanziario.
Oggi Atlantia, già Autostrade per l’Italia spa, appartenente ai Benetton, gestisce circa il 50% della rete autostradale italiana, ovvero circa 3.000 km. L’altra metà della rete è divisa in segmenti, ognuno affidato in concessione e ceduto ad altri concessionari. I maggiori sono naturalmente Benetton, ed il Gruppo Gavio, già operante nel settore edilizio dagli anni ‘80 e detentore di circa 1.400 km di autostrade.
Le autostrade in gergo economico si definiscono un “monopolio naturale”, detto molto semplicisticamente, non possono esistere due autostrade per raggiungere un’unica destinazione. Per ovvie ragioni tecniche è assurdo pensare di poter replicare lo sforzo infrastrutturale che la costruzione di una tratta autostradale comporta, e dunque ciascuna autostrada rappresenta un caso di monopolio naturale. Giunti a questa domanda mi chiedo: perché deve essere un privato ad accaparrarsi i benefici di una simile congiuntura e non la collettività?
E’ legittimo chiedersi, giunti in questo particolare momento storico, cosa ne ricavi lo Stato da questa pappatoria autostradale, costruita per la sua totalità con denaro pubblico e quindi proprietà del popolo italiano. Parte del pedaggio va alla società pubblica ANAS ed allo Stato, come corrispettivo da concessione. Il totale di queste due componenti è stato pari a circa 400 milioni di euro negli ultimi 3 anni. Nel 2017 tale cifra ammontava ad un valore pari a meno del 40% degli utili intascati dalla società. Nel 2017, dunque, su un ricavo da pedaggi di 3,95 miliardi, restava la miseria di 400 milioni per le casse pubbliche e soli 550 milioni di investimenti e manutenzione. Cifre che gridano vendetta è che mettono a nudo la logica delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni che hanno denudato la nostra nazione spogliandola dei suoi gioielli più belli, sostituendoli con bigiotteria da banco dei pegni!
C’è da dire che come forma di autotutela, i privati che si stanno pappando questo immenso patrimonio pubblico, hanno stabilito che qualora lo Stato voglia riappropriarsi della rete autostradale, debba risarcire i concessionari con un importo pari al corrispondente valore netto dei ricavi della gestione, fino a scadenza della concessione.
Bisogna quindi che ci svegliamo ed iniziamo a denunciare tutti i giorni il modo in cui le privatizzazioni si sono svolte in Italia e puntare i riflettori su tutte le clausole capestro che sono state concordate da tutti i governi finora susseguitisi da iniziò anni ‘90 sino ad oggi e che hanno lavorato alacremente, affinché lo Stato e l’interesse pubblico si sottomettessero indegnamente allo strapotere del capitale privato.
La nazionalizzazione di autostrade pertanto non è un problema di natura tecnico-giuridica ma di volontà politica.
Un Governo di patrioti infatti deve chiarire che nessuna clausola capestro può impedire l’esproprio di una risorsa di interesse collettivo. La nazionalizzazione di autostrade va intesa quindi come un ritorno dello Stato nella gestione diretta dei servizi pubblici e delle infrastrutture come strumento per restituire alla collettività, le risorse sottratte dal capitale privato e oggi riservate a beneficio di pochi.
La battaglia per le nazionalizzazioni infine si inquadra in una più ampia lotta contro i vincoli UE, i quali, dominati ed ispirati da un monolitico pensiero neoliberista, ha inteso limitare se non addirittura impedire l’intervento del pubblico in economia. Nazionalizzare le autostrade rappresenterebbe quindi l’occasione storica per il rilancio più generalizzato di un ruolo da protagonista dello Stato, che vada al di là di quello di mero regolamentatore. Una rinnovata visione in cui lo Stato deve obbligatoriamente ritrovarsi, per ricostruire l’economia su un modello di sviluppo indirizzato verso il sociale e verso una più equa redistribuzione del reddito in favore dei lavoratori in generale e del Popolo Italiano in particolare.