Pare che per tutta la nomenclatura politica italiana, da Napolitano a Mattarella, da Fini a Berlusconi, da Letta a Renzi e da Conte a Di Maio e a Salvini, si faccia a gara a dimostrare a chi conosce meglio i dettami della libertà e della democrazia, facendo la corsa ad indossare la kippah.
È divenuto ormai come un rito sciamanico quello di farsi riprendere dalle macchine fotografiche mentre si indossa questo indumento, e non importa se lo si fa in Terra Santa o entro i confini della propria patria, l’importante è farlo; far vedere cioè al mondo, o meglio, ad una precisa piccola parte del mondo che ancora determina molto, che si è ben capito cosa fare e che non c’è nulla da temere.
L’ultimo in ordine cronologico è stato Luigi Di Maio che ha deciso di celebrare il 25 Aprile con la “Brigata Ebraica”.
Alcuni nostri rappresentanti, molti di questo governo, ci danno l’impressione che per la prima volta ci si trovi di fronte ad una classe dirigente di rottura rispetto al passato.
Io me ne rallegro e ci credo con tutte le energie. Sono fermamente convinto del fatto che finalmente abbiamo un governo che ci rende orgogliosi di essere Italiani; tuttavia ci sono alcuni simboli che hanno un significato molto profondo e radicato. Uno di questi è la kippah, non vista in chiave religiosa, per carità e voglio che questo sia ben chiaro, ma in chiave strettamente politica.
La kippah infatti è politicamente il simbolo di un potere e di una potenza talmente forti da esigere una perpetua e continua genuflessione.
Come fare a creare un’alternativa più giusta e rispettosa di tutti? Coltivando il gene del multilateralismo che sta emergendo in questi ultimi anni, da opporre all’unilateralismo che fino ad oggi ci ha portato ad identificare come “buoni” e “cattivi”, tutti quelli che il pensiero unico ci indicava.
Non sarà più così.